Maria Luisa Spaziani, torinese, scomparsa nella sua casa di Roma il 30 giugno, è stata poeta di fama internazionale, tradotta in molte lingue, Presidente del Centro Montale e più volte candidata al Nobel. Aveva a lungo insegnato Lingua e Letteratura Francese presso l’ex Facoltà di Magistero (poi Scienze della Formazione) dell’Università di Messina in qualità di professore associato, e della città dello Stretto le sarà in seguito conferita la Cittadinanza onoraria. La sua ampia opera poetica è in gran parte riunita nel volume dei “Meridiani” di Mondadori apparso nel 2012 per i suoi novant’anni. Nel 2010 era stata nominata Membro d’onore della nostra Società.
Questa “signora della Poesia”, com’è stata recentemente definita, è stata anche Professore, nei 28 anni del suo insegnamento di Lingua e Letteratura Francese presso l’Università di Messina (quella Messina dalle “sponde smemoranti” molto amata e fonte di ispirazione per tanti suoi versi), dove era stata chiamata nel 1967 ‘per chiara fama’ dapprima dal filosofo Galvano Della Volpe (per l’insegnamento di tedesco, di cui pure era specialista) e poi dal latinista Antonio Mazzarino. Era stata dunque un Poeta-Professore – così avevo intitolato la cerimonia di saluto per la sua uscita dal ruolo, nel 1996, alla quale aveva partecipato l’altrettanto grande Mario Luzi. Una definizione che rimanda alla figura di un Poeta che sappia anche assumere le funzioni – didattiche, comunicative, formative – del Professore, apportando quindi al suo insegnamento ulteriori stimoli e aprendo più ampie prospettive. E’ su questo aspetto che desidero qui portare la mia testimonianza, di allieva e poi di collega, soffermandomi sulla Spaziani francesista e rilevando come i due aspetti, quelli del Poeta e del Professore siano stati in realtà in lei non attività separate o conflittuali ma, per riprendere la formula di Breton, ‘vasi comunicanti’, o meglio, come riecheggiano i titoli di alcune sue opere, Traversate, Transiti o ‘attraversamenti’. Questa duplice esperienza si è esplicata soprattutto attraverso tre modalità, che qui potrò solo rapidamente indicare.
Anzitutto attraverso le sue lezioni, che attiravano numerosissimi studenti – e non solo - e catturavano per il fervore, la vivacità critica e intellettuale, le prospettive innovative, rimandando, oltre che al prediletto Proust e ai suoi fitti rapporti ‘sul campo’ con la cultura letteraria francese, anche alla poesia italiana, da Leopardi e Pascoli a Montale e ai confrères siciliani Quasimodo e Lucio Piccolo. Lezioni che dovevano illustrare i Corsi 2 monografici da lei professati, e i cui temi privilegiavano il Teatro, dal Romanticismo a metà Novecento e, soprattutto, la Poesia. Da quella del ‘400, con Charles D’Orléans, a quella del ‘500 con la ‘costellazione’ dei giovani poeti della Pléiade, e del secolo classico con Racine (cui si era accostata attraverso una lontana collaborazione con Giovanni Macchia, nel ‘59), fino all’800, con la ‘storia’ del verso alessandrino e con Marceline Desbordes- Valmore, giungendo fino al Novecento con Cocteau e Toulet .
Ma già in queste pubblicazioni si inseriva l’altro aspetto che ancor più segna la coesione di un’attività profondamente unitaria: lei, tradotta in tutto il mondo, si dedicava a sua volta alla traduzione dal francese in italiano, sia di narrativa (da Flaubert e Gide a Yourcenar e a Tournier) sia, soprattutto, del testo poetico. E in lei l’attività del poeta- traduttore aveva sempre come risvolto un costante esercizio critico, mentre la ‘sfida’ interlinguistica era sistematicamente praticata e resa possibile da quel che Meschonnic chiama “rapport intertexuel”: una “lunga sapienza” della Parola poetica e una straordinaria ‘misura’ prosodica e ritmica, pertinente alla specificità del testo poetico, che si risolveva in una vera estetica della traduzione (“avere il verso dentro, far nascere in un’altra lingua un testo”). Di questa attività traduttiva da poeta a poeta, dove si poneva come processo fondamentale la relazione imprescindibile che intercorre fra lingua e metrica, vanno qui richiamate in particolare le traduzioni di Ronsard e dei poeti della Pléiade (ERI, poi riedite con ampio apparato critico da Mondadori), quelle di tre tragedie di Racine (Garzanti), dove realizzava una versione isometrica attraverso il martelliano, o settenario doppio (una traduzione da considerarsi ‘definitiva’, che fu molto apprezzata anche dalla compianta Jacqueline Risset), le Liriche d’amore di Desbordes-Valmore (2004), le Contrerimes di Toulet a suo tempo edite da Einaudi e, recentemente, Tristesses (Clarières du ciel), di un poeta ‘inattuale’ come Francis Jammes. Una sfida, quindi, alla cosiddetta impossibilità del tradurre la poesia, da lei agevolmente superata mantenendo il timbro ‘alto’ del testo originale ma anche attraverso brillanti détournements: “poeta ispirato e spiritoso”, l’ha definita Italo Calvino, e il suo umorismo penetrava a volte la sua stessa riscrittura traduttiva, giocando anche con la sua meno nota inclinazione verso il paradosso e la forma icastica dell’epigramma.
Di questo percorso di poeta e francesista, qui molto sommariamente delineato, può forse considerarsi l’emblema un’opera dove la poesia s’intreccia strettamente con la storia, la cultura e il mito d’oltralpe. E’ la Giovanna d’Arco, romanzo in versi del 1990 3 (Mondadori, ora riedito da Marsilio), che ha avuto anche delle rappresentazioni teatrali. Nelle sue incalzanti ottave, dove affiorano anche forme della lingua d’oc, si rovescia e si riscrive la verità della ‘Pucelle d’Orléans’, attraversata da molteplici ipotesi, interpretazioni ed enigmi, e che è anche “il canto del destino personale”. Credo sia stata l’opera a lei più cara, forse per dei risvolti identitari con Jeanne, quasi un suo ‘doppio’: audace, visionaria, combattente, femminista ante litteram, a volte disperata ma estrema nei suoi princìpi e nel suo sogno di assoluto (“Chi manca al suo destino non rimpianga / la scintillante verità del mondo”). E ciò mi è confermato da un ulteriore, struggente elemento. Nel ‘ricordo’ di sé che Maria Luisa Spaziani aveva preventivamente disposto nell’ultimo travagliato periodo della sua esistenza, sono proprio alcuni versi della Giovanna d’Arco quelli che accompagnano la sua immagine sorridente, a suggellare la continuità di una pos tulation verso la lingua e la civiltà letteraria francese che può anche costituire, parallelamente alla grande creazione poetica, il filo continuo del suo lungo, appassionato ‘viaggio’ attraverso il Novecento, fino alle soglie del nuovo millennio. 5. Vi segnalo una serie di iniziative promosse dall’Università di Messina ‘in memoriam’ di Maria Luisa Spaziani . Oltre ad un numero speciale della rivista on-line “Agon”, in dicembre, per ricordare il suo compleanno, si terrà un’importante Giornata di studio dedicata alla sua opera. In questa occasione verrà presentata l’istituzione di Borse di Studio per la Poesia, da lei fortemente voluta ed a lei intitolata.
Maria Gabriella Adamo