Giovanni Santangelo

Giovanni Saverio Santangelo (1947-2018)

Torno a commemorare Giovanni Saverio Santangelo, come avevo già fatto poco dopo che il suo fisico debilitato cedesse, il 14 novembre dello scorso anno. Ho accettato di rinnovare il suo omaggio, oggi, in nome della nostra lunghissima amicizia, iniziata a Palermo quando portavamo ancora i pantaloncini corti. Nati nello stesso anno, il 1947, lui a Castelvetrano (TP), abbiamo seguito un percorso parallelo negli studi e nella professione di francesisti, ritrovandoci costantemente, fino alla sua scomparsa, in quella città così difficile alla quale lui rimase sempre così profondamente affezionato. E mi piacerebbe potere esprimere, attraverso la mia voce, i sentimenti di quanti gli sono stati vicini, in particolare qui a Roma, dove contava molti dei suoi amici più cari.

All’aspetto più personale ho dedicato il ricordo che verrà pubblicato nella miscellanea in sua memoria promossa da Camillo Brezzi, Laura Restuccia, Anna Maria Scaiola, Antonello Velez e Claudio Vinti. Viceversa, trovo congruo, in questa occasione, accennare alla sua carriera pubblica, non senza premettere che essa è stata inseparabile dal suo fortissimo impegno ideologico.

Infatti, sia nei suoi primi lavori, che sono rimasti opere di riferimento, La Querelle des Anciens et des Modernes nella critica del '900 (Adriatica, Bari 1975) e Madame Dacier, una filologa nella crisi : 1672-1720 (Bulzoni, Roma 1984), sia negli interessi della sua maturità che lo hanno condotto a specializzarsi sulla produzione maghrebina o la letteratura di guerra, che fosse quella cosiddetta “garibaldina” francese, o la memorialistica della Grande Guerra (2011), o del colonialismo e post-colonialismo (2017) o la scrittura delle migrazioni, passando attraverso lo studio della “borghesia nel teatro di Molière”, o delle polemiche di poetica, o della scrittura dell’Utopia fra Sei e Settecento, Santangelo ha sempre voluto cogliere la tensione politica e civile che anima gli scrittori.

Peraltro, i volumi collettivi, i convegni, i repertori che ci lascia testimoniano la serietà della sua ricerca, la copiosità della sua scrittura, la sua articolata memoria bibliografica.

Dopo gli studi universitari a Palermo, Firenze e Perugia, dove si laureò con Marcello Spaziani e dove iniziò la sua carriera, diventando presto (1974) Professore incaricato presso la Facoltà di Magistero di Arezzo, Santangelo era tornato a Palermo nel 1978, come incaricato, poi associato e infine, dal 1987, ordinario di “Lingua e Letteratura francese”, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia. Qui era docente suo padre Giorgio, il noto italianista, e si deve anche all’influsso paterno il suo persistente contatto con l’ambiente italianistico (a Palermo, Giovanni Santangelo era anche Presidente della Classe di Lettere dell’Accademia Letteraria Nazionale e dell’Accademia Nazionale di Scienze Lettere e Arti). Ciò favorì il suo interesse verso le Letterature comparate, materia da lui insegnata nell’ultima parte della sua carriera, e verso le letterature francofone.

Coltivò questi ambiti dirigendo la Collana di studi franco-italiani “Mon païs”, fondata con Luigi De Nardis e la Collana di saggi franco-mediterranei “Nouveaux Rivages”, curando il Settore “Letteratura comparata” di Francesistica, animando per diversi anni con Gianfranco Rubino prima, poi con la mia collaborazione, il Seminario “Metodi della francesistica e percorsi di francofonia”.

Coerentemente con i suoi interessi francofoni, a questa iniziativa già molto ricca Santangelo fece seguire, con grande successo, il Seminario annuale “Scritture Migranti”, organizzato in collaborazione con Laura Restuccia e con le Associazioni studentesche, unitamente all’antropologo Antonino Buttitta. Oggi sappiamo quanto simili iniziative precorressero l’intensificarsi delle problematiche che oggi agitano la nostra passione civile. Gli interventi del medico e scrittore Kossi Komla-Ebri, in particolare, hanno lasciato certamente un segno nella coscienza di tanti studenti, aiutati in questo anche dall’atteggiamento costruttivo assunto dall’amministrazione palermitana, di fronte agli imperativi dell’integrazione multietnica.Ma già all’epoca in cui l’Unione europea sapeva coltivare quella strategia di dialogo culturale nel Mediterraneo che oggi rimpiangiamo, Giovanni Santangelo era stato molto attivo quale Delegato per la Comunità delle Università Mediterranee e l’Université Euro-Arabe Itinerante. Ciò gli era valso, da parte del governo irakeno, il “Diplôme d’Honneur” della Università di Baghdad, che si aggiungeva all’onorificenza di “Commandeur dans l’Ordre des Palmes Académiques”.

Sotto il profilo dell’impegno sociale e politico, vanno ricordati la vicepresidenza dell’Istituto Gramsci Siciliano e del Consiglio Scientifico del Centro Internazionale di Documentazione sulle mafie e del movimento antimafia, nonché le sue attività nella CGIL, sindacato che, all’indomani della sua scomparsa, ha riconosciuto in lui (cito) un “punto di riferimento dei docenti di sinistra dell'Università di Palermo nelle battaglie per i diritti e per l'innovazione all'interno dell'Ateneo”.

Ho dovuto compiere uno sforzo di ricerca solo per passare in rassegna questi ultimi aspetti pubblici. Benché le attività di Giovanni mi fossero note e me ne parlasse spesso, non riuscivo a tenerle tutte a mente. Ne ricordo molto bene invece una in particolare, che mi dava agio di vederlo indaffaratissimo al lavoro, con una capacità e un vigore ammirevoli, sotto il capolavoro di Renato Guttuso, “La Vucciria”, che adornava allora il suo ufficio in Rettorato. Infatti, i numerosi e importanti incarichi istituzionali che Santangelo assunse nei vari Organi universitari, erano culminati nella funzione di Prorettore Vicario, cui ha assolto per due mandati, dal novembre del 1999 all’ottobre del 2008.

I risultati da lui ottenuti mi portarono a constatare come egli esplicasse la sua carica senza porsi come uomo di potere, nonostante la sua carriera a vario titolo dirigenziale e la sua capacità di muoversi come un pesce nell’acqua, pur in battaglie politiche complesse, che viveva con altrettanta passione quanto il tifo calcistico per il suo Palermo. E ciò senza mai nascondersi, anzi esponendosi a pagarne le conseguenze e a soffrire quando vedeva tradita la fiducia che aveva accordato con entusiasmo. I riconoscimenti pubblici, come il bisogno di soddisfare i suoi ideali, erano per lui una gratificazione irrinunciabile e lo spingevano a inseguire sempre nuove mete. Tuttavia vorrei concludere evocando l’impressione, da me percepita negli ultimi mesi, che accanto ai lutti famigliari che acceleravano la conclusione della sua esistenza, egli sentisse a buon diritto appagata quella parte della sua personalità che oggi ho ricordato.

Aurelio Principato