Giovanni Bogliolo si è spento nell’intimità della sua casa lo scorso 30 ottobre 2019.
Ha lavorato alacremente e con il suo solito rigore sino agli ultimi momenti della vita dedicandosi con zelo e passione all’attività di traduttore nonostante le precarie condizioni di salute.
Bogliolo nasce a Laigueglia (Savona) nel 1938. Giunge a Urbino per frequentare la Scuola di giornalismo, e ancora molti anni più tardi confidava che, se Carlo Casalegno non fosse stato ucciso, probabilmente piuttosto che docente universitario sarebbe diventato giornalista alla “Stampa” di Torino (alla quale peraltro collaborò regolarmente, su temi culturali e letterari, per gran parte della sua vita). A Urbino avviene il suo incontro con Carlo Bo, che lo apprezza e, dopo la sua laurea in Lettere nel 1961 (con una tesi su Giovanni Boine), lo invita a rimanere all’Università, come suo assistente. A Urbino si sposa, ha un figlio e più tardi due nipoti, e qui si svolgerà tutta la sua carriera accademica: professore incaricato di Lingua e letteratura francese nel 1968, professore ordinario nel 1981, professore emerito nel 2011.
All’attività di docente e di studioso Giovanni Bogliolo ha affiancato quella di traduttore, svolta con passione, attenzione e competenza, attività che si è giovata di quel suo dono di una scrittura sobria, precisa, elegante senza affettazione, un vero modello di atticismo, che caratterizza anche i suoi lavori critici. Alle due monografie su Corbière (1975 e 1984), indagato con lucidità nelle sue contraddizioni, le sue pose e le sue maschere, seguiranno altri due libri sul romanzo francese dell’Ottocento (1991 e 2007), e il fortunato volume su Giovanna d’Arco (1986, riedito nel 1995). Oltre ad alcuni grandi classici da lui prediletti (Flaubert, Proust e Gide tra tutti), le sue investigazioni critiche si sono rivolte soprattutto ad autori del Novecento e anche contemporanei, in un percorso che segue con attenzione e valorizza le espressioni letterarie più recenti (vedi ad esempio il Repertorio francese del 1978), percorso parallelo e solidale con quello tracciato dalle traduzioni che gli valsero nel 1991 il Premio Grinzane Cavour: da Péguy, Giono, dai surrealisti a Céline, Genet, Vian, Bonnefoy, Tournier, Ajar, Sagan, Cohen, d’Ormesson, Haenel, e tantissimi altri. In tutti i suoi lavori, oltre all’intelligenza e alla sicurezza dell’informazione, brilla una capacità di entrare in consonanza con l’autore studiato, “un’intimità ambigua, una solidarietà, una connivenza”, come scrive lui stesso nel suo volume sulla Nouvelle Critique (1978); vicinanza molto evidente nel suo ultimo lavoro dato alle stampe nel 2019, poco prima della morte, una raccolta di suoi studi su Carlo Bo, cui è premesso un nuovo saggio. Non ha voluto confinarsi in nessuna metodologia, ma è rimasto aperto a tutte; “la critica letteraria”, ha scritto, “trova la sua legittimazione nella natura stessa del testo che pretende nel lettore un indispensabile e reattivo destinatario”.
Durante tutta la sua carriera Giovanni Bogliolo non si è mai sottratto alle responsabilità istituzionali all’interno dell’Ateneo, incarnando esemplarmente quella figura che la lingua inglese chiama “civil servant”, che implica il sacrificio personale di chi se ne fa carico, a favore dell’istituzione che viene servita. In momenti diversi e successivi Bogliolo è stato direttore dell’Istituto di Lingue, dell’Istituto Superiore di Educazione Fisica, presidente della Commissione per il riordino e il funzionamento delle Biblioteche, membro del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo. Fondatore nel 1991 della Facoltà di Lingue, di cui è stato Preside sino al 2000, e già nel 1992 di uno dei primi Centri linguistici d’Ateneo in Italia da lui diretto sino al 2004, ha ricoperto il ruolo di presidente della Conferenza dei Presidi di Lingue dal 1998 al 2000. Pro-rettore vicario dal 2000 al 2001, è stato poi eletto sempre nel 2001 Rettore dell’Università di Urbino, carica che ha ricoperto per due mandati consecutivi, in un periodo in cui era in serio pericolo l’esistenza stessa dell’Ateneo urbinate, da lui salvato superando resistenze e incomprensioni sia tra i colleghi sia nella cittadinanza, ponendo con la statalizzazione le basi sicure del suo attuale sviluppo.
Vorremmo per concludere ricordare le doti di accoglienza che hanno caratterizzato il suo magistero urbinate nei confronti di giovani studiosi provenienti da tutta Italia e dall’estero, spesso da lui individuati e invitati, anche in materie di studio non ovvie per una Facoltà di Lingue. Indimenticabile rimarrà per chi vi ha partecipato il ciclo di lezioni tenuto a Urbino su suo invito da Georges Poulet nel 1985, lezioni che poi confluiranno nel secondo dei tre volumi de La pensée indéterminée. Bogliolo non amava, per discrezione, per riserbo, considerarsi un maestro, e non chiamava ‘allievi’ i suoi collaboratori più giovani, cui lasciava la più intera libertà di ricerca, limitandosi a offrir loro opportunità rese possibili dalla sua familiarità con i maggiori editori; sono nate così l’edizione di Proust nella B.U.R. e i due volumi di Flaubert nei Meridiani Mondadori. Esercitava la sua autorità solo con l’esempio ben dissimulando dietro un distacco di facciata una profonda sensibilità e un animo generoso. Ha lasciato in chi l’ha conosciuto una grande lezione di dignità nell’esercizio della funzione di professore universitario.
Piero Toffano e Margareth Amatulli